martedì 10 aprile 2012

Strutturalismo

-Nel secondo dopoguerra e nel periodo post-coloniale l'Europa perde il suo ruolo egemone nel mondo. Iniziano a diffondersi gli studi semiotici inaugurati da Saussure sul linguaggio, di cui cerca di capire le strutture con un approccio sincronico (ovvero limitatamente ad un dato periodo, senza studiarne l'evoluzione storica).

-Il discorso semiotico si allarga anche ad altri ambiti artistici, come al cinema, facendo nascere lo strutturalismo, che mettendo da parte il culto dell'autore cerca di capire le meccaniche con cui il cinema comunica con lo spettatore.

-Lo strutturalismo (o cinesemiologia, o filmolinguistica) ha lo scopo di definire lo status del film come linguaggio. Ha uno dei suoi principali esponenti in Metz (anni '60-70). Al posto del problema ontologico (realismo e non-realismo?), Metz si concentra su quello metodologico.

-Metz dice che il film non può essere considerato una lingua, bensì un linguaggio: non è una lingua perchè le inquadrature sono infinte, le parole no; inoltre le inquadrature sono invenzioni del regista, le parole sono pre-esistenti; l'inquadratura è reale, la parola è virtuale. E' invece un linguaggio perchè è fatto di codici e sottocodici. Alcuni codici li ha in comune con altre arti (per esempio il codice “narrazione” è proprio del film ma anche della letteratura), altri invece sono esclusivi del cinema, e sono questi a costituire lo specifico filmico (ad esempio il codice “illuminazione”, di cui “illuminazione espressionista” è un sottocodice; oppure il codice “movimenti di macchina” di cui è sottocodice “carrellata”).

-Metz intende il cinema come vero e proprio linguaggio, quindi studiabile semioticamente. Elabora quindi la Grande Syntagmathique (1966-68), ovvero 8 metodi di organizzazione spazio-temporale del film:
1.ripresa autonoma (la singola ripresa cinematografica)
2.scena (un semplice insieme di inquadrature)
3.sequenza ordinaria (un semplice insieme di scene)
4.sintagma parallelo (due motivi alternanti che non hanno una relazione diretta negli eventi, come ricco/povero, città/campagna)
5.sintagma parentetico (brevi scene slegate temporalmente, che danno una certa idea di realtà, come ad esempio le sigle dei telefilm attraverso cui vediamo l'ambientazione ove si svolge) 6.sintagma descrittivo (oggetti mostrati in successione a suggerire una stessa locazione spaziale, utile a dare l'idea dell'ambiente)
7.sintagma alternante (due eventi paralleli contigui a livello spaziotemporale, ad esempio inseguito/inseguitore)
8.sintagma episodico (stadi che riassumono un'evoluzione cronologica, ad esempio per filmare la disgregazione di un rapporto di coppia si usa la stessa inquadratura con scene diverse, nelle prime i due coniugi parlano e ridono, nelle successive sempre meno, nell'ultima non si guardano nemmeno in faccia).

-Gli strutturalisti, specie se di sinistra, criticano quindi il culto dell'autore; esso non viene più considerato in quanto tale: il regista non è più una singola personalità creativo-autoriale, bensì un mero utilizzatore di codici/sottocodici (e la sua bravura al massimo può stare nell'abilità con cui li usa). Ciò viene espresso ne La morte dell'autore (1968) di Barthes, che dice che l'autore non è altro che l'evento della scrittura, così come “io” non è altro che l'atto di dire “io”. Di ciò parla anche Michel Foucalut che vede l'autore come un concetto derivato dal XVIII secolo, età che produsse l'individualizzazione della storia delle idee; egli sostiene che al massimo si può parlare di “funzione” dell'autore, vedendolo come un'istituzione effimera legata ai tempi, che lascia poi il posto alla permanente anonimia del discorso.

-Al concetto di autore si lega anche uno studio sui generi: ad esempio Buscombe dice che le convenzioni di genere sono il materiale entro cui l'autore si muove per creare; ad esempio la “forma esterna” del genere western sono gli elementi visivi ricorrenti: i cappelli, le pistole...mentre la “forma interna” è la rimescolanza di questi elementi ad opera dell'autore per dar vita a qualcosa di innovativo.

-In Hollywood Genres (1981) Thomas Schatz dice che il genere è una convenzione sociale che permette a regista e pubblico di capirsi attraverso una riproposizione cristallizzata di alcuni stilemi tipici: quelli che ristabiliscono un ordine sociale (western, poliziesco) e quelli che ristabiliscono un'integrazione sociale (musical, commedia, dramma). Servono quindi a creare un orizzonte di attese, un sistema di aspettative nel pubblico.

-Nello studio dei generi sorgono sempre alcune difficoltà: alcune etichette sono troppo ampie o troppo ristrette; spesso si tende a normativizzare, cioè a considerare il genere un insieme chiuso di preconcetti e non un trampolino verso la creatività e l'innovazione; a volte si tende a ritenere i generi monolitici, come se un film non potesse includere diversi generi al suo interno; c'è la tendenza al biologismo, ovvero nel considerare il genere come una cosa che nasce, ha il suo picco e poi il suo declino, mentre spesso permangono e si rielaborano continuamente.

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