venerdì 4 gennaio 2013

Cristian Mungiu

Mariana (1998) (corto)
Nici o întâmplare (1999) (corto)
Mâna lui Paulista (1999) (corto)
Zapping  (2000) (corto)
Corul pompierilor (2000) (corto)
Occident (2002)
Lost and Found (2005) (episodio "Curcanii nu zboară/Turkey Girl")
4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (4 luni, 3 saptamani si 2 zile) (2007)
Racconti dell'età dell'oro (Amintiri din epoca de aur) (2009)
Oltre le colline (Dupa dealuri) (2012) - 3,5/5

Mungiu (1968), rumeno, ha acquisito notorietà grazie al successo di 4 mesi, 3 settmane e 2 giorni, vincitore a Cannes della Palma d'oro. Ha lavorato come giornalsta ed insegnante, prima di specializzarsi in regia all'Accademia di Teatro e Film di Bucarest.

-Oltre le colline
Romania/Belgio/Francia 2012 - drammatico - 150min.

Alina (Cristina Flutur) e Voichita (Cosmina Stratan) sono cresciute assieme in un orfanotrofio. Divenute amiche intime, hanno preso strade diverse: Voichita si è fatta suora ed è entrata in un monastero poco fuori un paesino campagnolo in Romania, mentre Alina è andata a cercare lavoro in Germania, mai dimenticando l'amore provato nei confronti dell'altra. Tempo dopo, Alina va a trovare Voichita in monastero, determinata a portarla via da un luogo che, ne è convinta, le ha fatto il lavaggio del cervello, facendole dimenticare il sentimento che legava le due donne. Ma Voichita sembra ormai aver preso un'altra strada, avendo abbracciato la fede in Dio e facendo totale affidamento a Papà (il prete e capo della congrega, unico maschio della comunità) e Mamma (l'amorevole suora superiora). La situazione è inaccettabile per Alina, che accecata dal furore, comincia a dare segni di squilibrio mentale; strani fatti portano Papà e le sorelle a ipotizzare che la ragazza sia posseduta dal maligno, così decidono di segregarla e tentare di esorcizzarla.

Ispirato ad un vero fatto di cronaca che colpì l'opinione pubblica rumena nel 2005, sulla base del quale la giornalista Tatiana Niculescu Bran si è basata per scrivere due libri, che hanno funto da base per la sceneggiatura del film. Difficile fare un film all'altezza delle aspettative dopo che si è vinta una Palma d'Oro. Mungiu ha scelto con oculatezza il tema da trattare, facendo leva sulla curiosità che un caso di cronaca può suscitare nelle menti del pubblico. Tuttavia il film è girato con i medesimi crismi del precedente, ovvero in modo del tutto anti-spettacolare e lontano dalle logiche mainstream (niente musica, lunghi piani-sequenza, una sola videocamera, niente sensazionalismi). Il punto di forza di Mungiu sta nella sceneggiatura, non per nulla premiata a Cannes: i dialoghi mimano la quotidianità del parlato, e sono enuciati dall'ottimo cast con la pacatezza che si confà alle persone normali. Ovviamente al procedere degli eventi la situazione tenderà ad assumere contorni inquietanti e si passerà a pianti ed urla, ma sempre con un certo contegno. Si tratta di un climax misurato, stemperato da una regia che mantiene sempre uguale il ritmo della narrazione, non velocizza mai il montaggio generando una tensione che è tutta mentale.

Col procedere del film vengono proposti vari spunti di riflessione, giocoforza interessanti per chiunque dato che riguardano i massimi sistemi (esistenza di Dio e del diavolo, confine tra sanità mentale e follia, problemi morali e giuridici...) e la naturalezza con cui il regista dipana le sue riflessioni fa sembrare gli slanci mistici di Malick delle elucubrazini esoteriche. Intendiamoci, non è che si lavori di sottrazione nei dialoghi (sempre molto fitti e realistici) o nello sviluppo della vicenda (logicamente ineccepibile), ma è anzi questa semplicità di esposizione (che però si ottiene in modo tutt'altro che facile, dato che richiede una padronanza non indifferente del mezzo) che aiuta lo spettatore a concentrarsi sui temi trattati dal film, pur senza perdersi il piacere della narrazione. Impossibile valutare il grado di fedeltà ai fatti reali, dato che il film non ci dà alcuna indicazione in merito, ma la questione non si pone nemmeno. Il conflitto fra amore terreno ed ultraterreno è il fulcro del film: si può amare Dio (un essere invisibile) senza perdere in un certo senso il contatto con la realtà? E viceversa: può l'amore per una persona trasformarsi in un'ossessione così profonda da farci perdere la ragione? La risposta è probabilmente affermativa in entrambi i casi, sicuramente è ciò che accade alle protagoniste di questa storia (attrici formidabili premiate a Cannes con un premio collettivo).

Altra nota di merito va alla fotografia, sempre molto netta e definita anche se, volendo fare un appunto, posso dire che queste camere a mano iniziano ad essere un po' indigeste: perchè non usare un qualche bel movimento sull'asse a camera fissa, ogni tanto? Opinione personale, comunque.

Oltre le colline è un ottimo film che peraltro ha il merito di affrontare una tematica fino ad oggi prerogativa dell'horror in modo realistico e quasi documentaristico. Se il discorso intavolato (e le domande poste) non sono cosa nuova, la regia impeccabile e il bel cast consentono alla pellicola di elevarsi una spanna sopra molti altri film usciti quest'anno nelle nostre sale. La lunga durata può mettere a dura prova la pazienza di qualcuno, ma accettata questa condizione una buona visione è assicurata, complice qualche sparuto momento di finissimo umorismo.

Da vedere.

Voto: 3,5/5
Alina (Cristina Flutur) e Voichita (Cosmina Stratan) sono cresciute assieme in un orfanotrofio. Divenute amiche intime, hanno preso strade diverse: Voichita si è fatta suora ed è entrata in un monastero poco fuori un paesino campagnolo in Romania, mentre Alina è andata a cercare lavoro in Germania, mai dimenticando l'amore provato nei confronti dell'altra. Tempo dopo, Alina va a trovare Voichita in monastero, determinata a portarla via da un luogo che, ne  è convinta, le ha fatto il lavaggio del cervello, facendole dimenticare il setimento che legava le due donne. Ma Voichita sembra ormai aver preso un'altra strada, avendo abbracciato la fede in Dio e facendo totale affidamento a Papà (il prete e capo della congrega, unico maschio della comunità) e Mamma (l'amorevole suora superiora). La situazione è inaccettabile per Alina, che accecata dal furore, comincia a dare segni di squilibrio metale; strani fatti portano Papà e le sorelle a ipotizzare che la ragazza sia posseduta dal maligno, così decidono di segregarla e tentare di esorcizzarla.
Ispirato ad un vero fatto di cronaca che colpì l'opinione pubblica rumena nel 2005, sulla base del quale la giornalista Tatiana Niculescu Bran si è basata per scrivere due libri, che hanno funto da base per la sceneggiatura del film. Difficile fare un film all'altezza delle aspettative dopo che si è vinta una Palma d'Oro (per 4 mesi, 3 settmane, 2 giorni). Mungiu ha scelto con oculatezza il tema da trattare, facendo leva sulla curiosità che un caso di cronaca può suscitare nelle menti del pubblico. Tuttavia il film è girato con i medesimi crismi del precedente, ovver in modo del tutto anti-spettacolare e lontano dalle logiche mainstream (niente musica, lunghi piani-sequenza, una sola videocamera, niente sensazionalismi). Il punto di forza di Mungiu sta nella sceneggiatura, non per nulla premiata, sempre a Cannes: i dialoghi mimano la quotidianità del parlato, e sono enuciati dall'ottimo cast con la pacatezza che si confà alle persone normali. Ovviamente al procedere degli eventi la situazione tenderà ad assumere contorni inquietanti e si passerà a pianti ed urla, ma sempre con un certo contegno. Si tratta di un climax misurato, stemperato da una regia che mantiene sempre uguale il ritmo della narrazione, non velocizza mai il montaggio generando una tensione che è tutta mentale.
Col procedere del film vengono proposti vari spunti di riflessione, giocoforza interessanti per chiunque dato che riguardano i massimi sistemi (esistenza di Dio e del diavolo, confine tra sanità mentale e follia, problemi morali e giuridici...) e la naturalezza con cui il regista dipana le sue riflesioni fa sembrare gli slanci mistici di Malick delle elucubrazini esoteriche. Intendiamoci, non è che si lavori di sottrazione nei dialoghi (sempre molto fitti e realistici) o nello sviluppo della vicenda (logicamente ineccepibile), ma è anzi questa semplicità di esposizione (che però si ottiene in modo tutt'altro che facile, dato che richiede una padronanza non indifferente del mezzo) che aiuta lo spettatore a concentrarsi sui temi trattati dal film, pur senza perdersi il piacere della narrazione. Impossibile valutare il grado di fedeltà ai fatti reali, dato che il film non ci dà alcuna indicazione in merito, ma la questione non si pone nemmeno. Il conflitto fra amore terreno ed ultraterreno è il fulcro del film: si può amare Dio (un essere invisibile) senza perdere in un certo senso il contatto con la realtà? E viceversa: può l'amore per una persona trasformarsi in un'ossessione così profonda da farci perdere la ragione? La risposta è probabilmente affermativa in entrambi i casi, sicuramente è ciò che accade alle due protagoniste di questa storia (attrici formidabili premiate a Cannes con un premio collettivo).
Altra nota di merito va alla fotografia, sempre molto netta e definita anche se, volendo fare un appunto, posso dire che queste camere a mano iniziano ad essere un po' indigeste: perchè non usare un qualche bel movimento sull'asse a camera fissa, ogni tanto? Opinione personale, comunque.
Oltre le colline è un ottimo film che peraltro ha il merito di affrontare una tematica fino ad oggi prerogativa dell'horror in modo realistico e quasi documentaristico. Se il discorso intavolato (e le domande poste) non sono cosa nuova, la regia impeccabile e il bel cast consentono alla pellicola di elevarsi una spanna sopra molti altri film usciti quest'anno nelle nostre sale. La lunga durata può mettere a dura prova la pazienza di qualcuno, ma accettata questa condizione una buona visione è assicurata, complice qualche sparuto momento di finissimo umorismo.
Da vedere.

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