sabato 23 febbraio 2013

Marco Ferreri

El pisito (co-regia) (1958)
Los chicos (1959)
La carrozzella (El cochecito) (1960) - 3/5
Le italiane e l'amore - episodio L'infedeltà coniugale (1961)
Una storia moderna (1963)
Controsesso - episodio Il professore (1964)
La donna scimmia (1964) - 3,5/5
Oggi, domani e dopodomani - episodio L'uomo dei 5 palloni (1965)
Marcia nuziale (1966) - 3/5
Corrida! - documentario (1966)
L'harem (1967) - 3,5/5
Dillinger è morto (1969) - 3/5
Il seme dell'uomo (1969) - 3/5
Perché pagare per essere felici - documentario (1971)
L'udienza (1971) - 4/5
La cagna (1972)
La grande abbuffata (1973) - 5/5
Non toccare la donna bianca (1974) - 2,5/5
L'ultima donna (1976)
Yerma - film TV (1978)
Ciao maschio (1978) - 2,5/5
Chiedo asilo (1979)
Storie di ordinaria follia (1981) - 2/5
Storia di Piera (1983) - 2,5/5
Il futuro è donna (1984)
I Love You (1986)
Come sono buoni i bianchi (1988)
Il banchetto di Platone - film TV (1989)
La casa del sorriso (1991)
La carne (1991)
Diario di un vizio (1993)
Nitrato d'argento (1996)

Ferreri (1928-1997) è stato un regista anomalo nel panorama del cinema italiano; milanese, ha iniziato la sua attività in Spagna, dando vita ad una lunga collaborazione con lo scrittore-sceneggiatore Rafael Azcona. Autore di opere grottesche e di contestazione, irridenti della società borghese ed in generale anarcoide, in bilico schizofrenico tra maschilismo ed anti-maschilismo, ha realizzato memorabili invettive anticapitaliste come La grande abbuffata, scivolando poi negli anni '80 in una fastidiosa autoindulgenza.

-La carrozzella
Spagna 1960 - drammatico/grottesco - 86min.

Il vecchio pensionato Anselmo (un efficace José Isbert) passa le sue noiose giornate con i suoi amici e con dei famigliari con cui non va d'accordo. Quando il suo amico Lucas acqusta una motocarrozzella, Anselmo diventa ossessionato dall'idea di cmprarne una, ma non ha soldi (non ne ha nemmeno bisogno dato che cammina benssimo). inizia un'assurdo intestardimento che porterà a liti, furti, persino omicidi.

Vedendo il film oggiorno si rimane stupiti dalla sua attualità; è una specie di feroce attacco al consumismo, allo schaivismo delle persone indotto dalle merci, alle conseguenze provocate da una perdita di dotare di senso la propria vita. Da non scordare che è stato girato sotto il franchismo per coprendere anche la provocazione politica del film. Girato in B/N con un'alternanza fra i tetri interni della casa di Anselmo e gli abbacinanti chiarori degli esterni madrileni, è un film di contrasti profondi: famigliari, ideali, politici. La violenza del finale, apparentemente inverosimile nella sua iperbolica follia, lascia intuire i futuri eccessi grotteschi del regista, che qui mantiene la narrazione ancroa su registri realistici. I movimenti di macchina, pur parchi, conferiscono un certo dinamismo all'azione, e la prima metà del film, che si mantiene su un registro da commedia, stride in modo affascinante con il suo prosieguo drammatico.
Da vedere.

Voto: 3/5

-La donna scimmia
Italia/Francia 1964 - grottesco - 92min.

Il truffatore di professione Anotnio Focaccia (Ugo Tognazzi) scopre in un convento una giovane donna orfana ricoperta di peli, di nome Maria (Anne Girardot). decide di fanr l'attrazione di uno spettacolo, spacciandola per un'esotica donna-scimmia proveniente dalla giungla africana.

Ferreri si addentra ancor più nel grottesco, e declina la tematica della digregazione sociale nella forma dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; ne La carrozzella l'impulso al delitto era fornito dalla smania per la merce, qui è la smania per i soldi a promuovere lo sfruttamento di un essere umano. Sebbene il film si mantenga su toni leggeri, quasi da commedia o da film sentimentale, l'accusa è ancor più forte che nel film spagnolo. Il personaggio di Tognazzi non è un "cattivo doc", bensì un tizio senza arte ne parte che forse non si rende nemmeno bene con to del male che sta generando. Ancor più drammaticamente è la stessa Maria a non accorgersi di essere sfruttata, anzi ad innamorarsi addirittura del suo persecutore, cui si abbandona con una fiducia quasi insostenibile per lo spettatore, al quale è chiara la realtà delle cose.
Il finale è quanto di più umanamente aberrante si possa immaginare, ma come al solito a Ferreri non interessa tanto realizzare un personaggio totalmente negativo da sottoporre alla pubblica condanna del pubblico; il suo intento, più sottile, è di rendere il suo protagonista sineddotico di alcuni problemi sistemici della società di massa: la spettacolarizzazione del dolore e della diverisità, esposte al pubblico ludibrio, la mercificazione della persona,  i possibili difetti (in questo caso l'ipocrisia) dell'istituzione matrimoniale. In quest'ottica quindi la deprecabile azione finale di Focaccia non è tanto un estremo atto di malvagità, quanto un adeguamento ai dettami della ricerca ostinata del profitto, capitalizzando su tutto ciò che  possibile non curandosi dei risvolti etici delle proprie azioni.
Il film, che si avvale di mezzi e di un cast qualitativamente superiori rispetto al periodo spagnolo, è la seconda co-produzione italo-francese per Ferreri, che negli anni stringerà una collaborazione sempre più stretta con il paese d'oltralpe.

Voto: 3,5/5

-Marcia nuziale
Italia/Francia 1966 - episodi/commedia - 80min.

Già ne La donna scimmia Ferreri sbeffeggiava l'istituzione matrimoniale; qui tale istituzione diventa il tema portante dei 4 episodi che compongono il film: nel primo due coppie borghesi si riuniscono per far accoppiare i loro beneamati canidi (il matrimonio imposto dall'alto). Nel secondo una coppia sposata da tempo non riesce a trovare la passione nel talamo coniugale e scoppia in un litigio di rimproveri reciproci (il matrimonio generatore di frustrazione). Nel terzo una moderna coppia liberal americana si ritrova a cena da amici, tutti apparentemente di larghe vedute e in terapia per problemi di coppia; un marito ne approfitta per consumare adulterio con un'amica, anch'essa sposata (il matrimonio come prigione del desiderio); nel quarto, in un futuro mprecisato gli uomini si sposano con bambole meccaniche. Un uomo riesce però ad essere ugualmente scontento della moglie perchè ormai è un modello superato (il matrimonio che fallisce anche negando il rapporto umano). Si ride molto, ma amaramente. Tognazzi, protagonista in tutti gli episodi, è in forma smagliante. Ferreri anticipa Woody Allen (specie nel terzo episodio) e dà vita ad un grottesco di situazione più che di messinscena (come invece capiterà spesso in futuro). Al termine del film ci si chiede se sia l'istituzione matrimoniale ad essere sbagliata, o se siano gli uomini ad essere troppo imperfetti per farla funzionare a dovere.
In questo film, sebbene si analizzino problemi di coppia, le colpe paiono principalmente essere imputate al sesso maschile (colpe che probabilmente Ferreri riconosce in primis in sè stesso, dato che nell'ultimo episodio assegna le sue stesse fattezze fisiche a Tognazzi); in questo senso il film potrebbe considerarsi una parte di un ideale dittico di cui L'harem (1967) è la seconda metà.

Voto: 3/5

-L'harem
Italia/Francia/RFT - commedia/drammatico/grottesco - 100min.

Una donna (Carroll Baker) si concede a diversi amanti, ma non vule instaurare relazioni profonde con alcuno di essi. Riuniti tutti in una sua villa a Dubrovnik, crea un harem nel quale si fa servre e riverire da essi, concedendosi ad ognuno di loro in vari momenti; un su amico omosessuale fa le veci di maggiordomo. Ad un certo punto però i tre uomini (William Berger, Gastone Moschin, Renato Salvatori) si ribellano ai ruooli di servitori e finiscono per assumer eil controllo della casa, "schavizzando" la donna.

Ufficialmente il film dovrebbe essere una prosecuzione dei temi affrontati nei film precedenti (Marcia nuziale, L'ape regina, La donna scimmia) circa la misoginia della società occidentale e la sottomissione della figura femminile rispetto a quella maschile. Tuttavia è però evidente che l'atteggiamento possessivo dei tre uomini e la ritorsione nei confronti della donna avvengono in seguito al comportament di lei. Insomma come ho scritto sopra questo film potrebbe far parte di un dittico ideale assieme a Marcia nuziale: se in quel film il responsabile principale dei problemi era innegabilmente l'uomo, il marito, portatore di un congenito istinto al tradimento, alla trascuratezza del coniuge, all'egoismo, in questo sembra essere la donna, con le sue indecisioni, i suoi giochi pericolosi, le sue lascivie e la sua mente imperscrutabile ad essere una continua fonte di provocazione per l'uomo, da cui subisce la legge del contrappasso in un cupo finale da favola macabra. C'è di più: se da un lato i film sono critici verso l'istituzione matrimoniale, in questo si denunciano le false speranze delle ideologie più liberal degli anni '60, specie in materia di libertà sessuale: le maggiori libertà e diritti civili conquistati dal secondno dopoguerra non sembrano insomma in grado di fare da contraltare alle ontologiche negatività dell'essere umano ed ai suoi istinti primigenii: volontà di possesso, sentimento di vendetta, pulsioni animalesche.
Cast affiatato e setting suggestivo aumentano il piacere della visione.
Da vedere.

Voto: 3,5/5

-Dillinger è morto
Italia 1969 - drammatico - 95min.

L'ingegnere Glauco (Michel Piccoli) torna a casa dopo il lavoro, cena da solo nel su apprtamento pieno di cianfrusaglie, passa il tempo fra di esse, si impegna in frivolezze, fa visita alla cameriera (nella sua camera da letto), fa fuori la moglie nel sonno e scappa da tutto e tutti.

Generalmente apprezzato dalla critica e snobbato dal pubblico, il film è un kammerspiel crudele sulla psicosi di un uomo, che condensa le critiche al maschilismo delle opere precedenti. La pistola a pois, memorabile esempio della potenza espressiva di un singolo oggetto di scena, è più che mai metafora fallica, in un "notturno happening sulla nevrosi" (dal dizionario dei film Morandini) che punta tutto sulla frustrazione del maschio nella società contemporanea: i suoi sogni rimangono tali in una quotidianità che non lascia spazio a sogni e fantasie (in cui il potagonista si rifugia nella prolissa sequenza del video-proiettore), le sue voglie sono insoddisfatte e la volenza sembra rimanere l'unico atto creativo e volitivo possibile. il desiderio di abbandonare tutto e darsi ad una fuga impossibile dal resto del mondo (che trova un immaginario cmpimento a fine pellicola) rende l'idea delle costrizioni cui l'uomo sembra essere imprigionato in una società-prigione. Tuttavia il film non indaga le cause di questo malessere, ma si limita a metterne in scena le conseguenze; forse per questo non è riuscito a trovare molto pubblico, incapace di trovare una giustificazione ai comportamenti dell'uomo.
Forse non aggiunge molto a quanto già messo in scena precedentemente da Ferreri, e spesso rischia di sviloare nell'autocompiacimento dell'esercizio di stile, ma rimane un bell'esempio di one man show ed uno dei pochissimi film da camera italiani.

Voto: 3/5

-Il seme dell'uomo
Francia/Italia 1969 - fantascienza - 113min.

Una misteriosa catastrofe ha quasi annientato il genere umano. Un uomo e una donna occupano una magione abbandonata in riva al mare, costruendo al suo interno un museo dell'umanità in cui esporre oggetti della quotidianità da tramandare a visitatori futuri. L'uomo (Marco Margine) ha una disposizione ottimistica verso il futuro, mentre la sua compagna (Anne Wiazemsky) ha un atteggiamento molto più pessimistico. Le cose degenarno quando una terza donna irrompe nella vita della coppia.

Probabilmente affascinato dal capolavoro Kubrick-iano 2001: odissea nello spazio, dell'anno precedente (e qui citato espressamente con un poster che appare in una scena) Ferreri realizza un film di fantascienza, anomalo per due ragioni: la prima è quella di essere un film di fantascienza italiano, genere che nel nostro cinema non è quasi presente, il secondo è di averlo realizzato contro i dogmi del genere stesso: niente architetture avveniristiche, niente effetti speciali. Al contario, una messinscena povera e teatraleggiante (con quel maestoso oggetto di scena che è la balena arenata sulla spiaggia, idea che verrà poi ripresa in Ciao maschio) che centra tuttavia l'obbiettivo di rendere credibile il contesto post-apocalittico in cui si inscena la vicenda. In questo quadro di genere, unico nella filmografia del regista, Ferreri offre un ulteriore approfondimento delle sue tematiche perdilette, in questo caso il rapporto uomo-donna, con tutto il carco di problematicità ed incomprensioni che si porta dietro; l'uomo in particolare è visto come un megalomane istintualmente portato al tradimento ed all'onnipotenza che conduce all'autodistruzione, mentre la donna è un concentrato di dolori (fisici e psichici), soggetto passivo nato per soffrire. Un cinema ostico nel suo pessimismo insomma, forse fastidioso per questo, ma ricco di fascino visivo (fotografia di Mario Vulpiani, ottima soprattutto nei campi lunghi) ed in grado di comunicare emozioni difficilmente rappresentabili (incertezza, turbamento, insicurezza).

Voto: 3/5

-L'udienza
Italia/Francia 1972 - commedia/drammatico - 112min.

il fedele Amedeo (Enzo Jannaci) si reca in Vaticano per chiedere un'udienza con il papa: ha una questione privatissima da discutere con lui solo, e non ha intenzione di rivelare nulla a chicchessia. Il commissario Diaz (Ugo Tognazzi) tenta in ogni modo di dissuaderlo. L'insistenza di Amedeo sarà causa di molti guai.

Difficile immaginare un film più controcorrente di questo nel panorama del cinema dei primi anni '70, con l'esplosione della New Hollywood da una parte e l'affermarsi dei registi post-neorealisti qui in patria, che erano tutto fuorchè parchi di afflati rivoluzionari (Bellocchio, Giù la testa di Sergio Leone) e provocazione scopica (Dario Argento, Bertolucci). 

Invece Ferreri fa un film sul silenzio di Dio (e sugli uomini che lo rappresentano in Terra), sulla crisi personale di un credente, tutto ambientato fra cardinali ed edifici religiosi. Non che manchi il riferimento ad un'Italia più disinibita (la prostituta interpretata da Claudia Cardinale, la musica moderna che passa in radio), ma rimane sullo sfondo, forse come causa del disagio interiore del protagonista, che invano tenta di trovare conforto nelle istituzioni che dovrebbero guidarlo e che invece non lo capiscono e sembrano temerlo. C'è un attacco diretto alla Chiesa in quanto istituzione politica, aspetto posto - a parere del regista - sopra quello spirituale. C'è poi una memorabile gara di bravura tra un Tognazzi più asciutto del solito ed un irripetibile Jannaci attore protagonista, che rivela insospettabili qualità attoriali.
Ci sono infine due efficaci interpretazioni minori di Michel Piccoli e Vittorio Gassman.
Ferreri continua a procedere per la sua strada, incurante delle tendenze mainstream e sempre alla ricerca del grottesco, che qui fa da impalcatura narrativa ad una fiaba nera (destinata a non avere conclusione, come testimonia il maliconico non-finale che rivela la ringkomposition della sceneggiatura) che è insieme (poco) surreale e (molto) realistica.
Da vedere.

Voto: 4/5

-La grande abbuffata
Italia/Francia 1973 - grottesco - 132min.(edizione integrale)

Quattro facoltosi amici (un cuoco, un giudice, un pilota dongiovanni e un produttore tv)si danno appuntamento nella villa di uno di loro, ordinano tonnellate di cibo, si rinchiudono nella magione emangiano fino alla morte.

Uno dei più celebri film di Ferreri, il suo apice creativo e provocatorio. Con un cast eccellente (Michel Piccoli, Ugo Tognnazzi, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret) ritrae quattro rappresentanti della società del benessere materiale - ma del vuoto esistenziale - occidentale. Il film è stato accostato non a torto al pasoliniano Salò per la ritualità della vicenda ed il suo significato allegorico: è la presentazione di una società totalmente incentrata nell'immanenza ed affogata in essa, incapace di trovare uno scopo più alto, incapace in effetti di trovare alcuno scopo per la sua prosecuzione. Un concentrato di individui frustrati, meschini, delusi, perversi, che non sanno che farsene di ciò che hanno e che si offrono in olocausto per null'altri che loro stessi, in un suicidio che è l'estremo atto egoistico della loro infima esistenza; significativamente sono tutti maschi: solo una donna li assiste nella loro eutanasia, comprensiva ed accomodante; per Ferreri il maschio è il legno storto dell'umanità e, parafrasando il titolo di un suo film successivo, il futuro è donna. E proprio in quanto relitto del passato l'uomo si rifugia in esilio in una magione recintata, un eremo fuori dal mondo (pur essendo in effetti nel centro di Parigi) che richiama alla mente la villa in cui vive ritirata Norma Desmond in Viale del tramonto. Ma se Norma, nel suo autoesilio, si rifugia nell'arte (con una corposa dose di narcisismo), i nostri quattro anti-eroi si rifugiano in quanto di più materiale, primitivo e basico si possa pensare: il cibo. Per tutto il film si assiste ad una regressione costante dei protagonsti a comportamenti sempre più animaleschi, in un tentativo di soddisfacimento di istinti primari (mangiare, copulare, espletare le proprie funzioni biologiche) ed una regressionee infantile che li porta a dipendere dalle amorevoli cure della donna-madre-dio, in grado di dare la vita e, in questo caso, di aiutare a togliersela.
E' uno dei film più pessimisti che si possano vedere, un film irripetibile nel panorama del cinema italiano e probabilmente insostenibile per molti spettatori.

Voto: 5/5

-Non toccare la donna bianca
Francia/Italia 1974 - western/drammatico/sperimentale/satirico - 108min.

Il generale Custer (Marcello Mastroianni) prepara l'assalto a Little Big Horn, per sterminare gli indiani.

Esperimento di western in transfert spazio-temprale: il setting è l'enorme cantiere parigino sorto in concomitanza dell'abbattimento del vecchio quartiere dei mercati coperti di Les Halles, cui Ferreri fa ricorso per ricostruire una bizzarra ambientazione simil-desertica in centro città. Il fascino del film sta proprio nel seguire la vicenda storica americana in un'ambientazione tanto anomala, in cui i clochard della zona hanno fatto la parte degli indiani sottomessi all'uomo bianco. Si riesce così ad inscenare un resoconto storico con evidenti affinità alla storia contemporanea, affinità declinata nella solita critica registica ai modi della cosicetà capitalista occidentale. Nella parte finale non si risparmiano dosi di violenza massicce, e sebbene il registro sia più o meno quello di una commedia grottesca innervata da una satira rivolta all'ipocrisia dell'uomo bianco, in realtà c'è ben poco da scherzare. Stavolta gli elementi non sono miscelati bene quanto in altri lavori di Ferreri, ed i toni sopra le righe di molte situazioni e di molte recitazioni alla lunga sono un po' stancanti. Inoltre i  ruoli di Catherine Deneuve e Michel Piccoli sono un po' sprecati ed in generale poco interessanti. Spicca Tognazzi nella caratteristica parte di un indiano comprato dai cowboys.

Voto: 2,5/5

-Ciao maschio
 Italia/Francia 1978 - commedia/drammatico/grottesco/sperimentale - 113min.

Calderone di spunti, suggestioni visive e condensato tematico di un ventennio di attività registica, Ferreri realziza un strano oggetto audiovisivo senza storia, ambientato in una città (New York) aliena (tra grattacieli e bugigattoli, distese desertiche e villette suburbane), che fa capo all'elettrotecnico LaFayette (Gerard Depardieu), che lavora ad un museo delle cere ed occasionalmente con un gruppo di teatrani femministe, un amico del quale (Marcello Mastroianni) si imbatte casualmente nel cadavere di King Kong (l'omonimo film di successo di John Guillermin è di 2 anni prima) e ne adotta il "figlio", una scimmietta cui dà il nome Cornelio.
Abbandonando il tentativo di una spiegazione logica degli eventi, è una volta di iù una riflessione della crisi del ruolo del maschio nella società moderna: sguattero delle teatranti, padre senza responsabilità, genitore di uno scimmiotto (che muore divorato dai topi), condannato alla morte in solitudine, è un animale che non sa trovare il proprio posto nel mondo.
Pieno di invenzioni, trovate surreali, alcune funzionanti (il ritrovamento del cadavere di King Kong, la sequenza iniziale) altre meno (le scene al museo, di impostazione teatrale, la figura erratica di Mastroianni), è un prodotto autoriale per cinefili incalliti e critici, troppo avvolto su sè stesso per riuscire a comunicare ad un vasto pubblico.

Voto: 2,5/5

-Storie di ordinaria follia
 Francia/Italia 1981 - commedia/drammatico - 107min.

Da un soggetto di Charles Bukowski (da una raccolta delle cui poesie prende il titolo il film): tranche de vie di uno scrittore alcolizzato (Ben Gazzara) che vagabonda per la città ncapace di qualsiasi lavoro d'ufficio, che vive a fianco della ex moglie e vive una tormentata storia con una ragazza avvenente dalle tendenze suicide (Ornella Muti).
Un guazzabuglio di situazioni più o meno inverosimili che ben poco interesseranno lo spettatore. Personaggi odiosi che ben rappresentano la condizione umana dell'accidia. Poche trovate creative e la splendida figura della Muti non bastano a rendere il film interessante.

Voto: 2/5

-Storia di Piera
Italia/RFT/Francia - biografico - 107min.

Biografia dell'attice teatrale Piera Degli Esposti, con particolare riferimento alla travagliata infanzia bolognese ed al tormentato rapporto con la madre, affetta da malattia mentale degenerativa.

Il cast è eccellente (Isabelle Huppert, Hanna Shygulla, Marcello Mastroianni) e la storia raccontata con toni men ogrotteschi del solito, più attenti alla verosimiglianza ed al rapporto affettivo tra Piera e chi le sta attorno. Molto spazio è dedicato ai turbamenti erotici della donna. La confezione è elegante, grazie alla luminosa fotografia di Ennio Guarnieri ed agli esterni evocativi (Sabauda, Latina, Pontinia, con le loro squadrate architetture fasciste).
Ma una domanda sorge spontanea: a noi spettatori che ce ne frega della vita di questa donna?

Voto: 2,5/5

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